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venerdì 4 luglio 2014

Cellule Staminali e il loro sguardo sulla Retinite Pigmentosa

Vi faccio un resoconto di un articolo apparso su eLIFE che potete trovare QUI.
Gli spunti e le prospettive per noi tutti sono entusiasmanti!
Ringrazio Elena per aver scovato la notizia!!!

Il regno delle cecità ereditarie comprende uno spettro molto ampio di patologie, causate da mutazioni riguardanti oltre 220 geni differenti. La Retinite Pigmentosa (RP) è una delle più comuni forme tra le 250 varietà di degenerazioni retiniche ereditarie che causano perdita parziale o totale della vista.

Allo scopo di sondare le potenzialità delle terapie basate sull'impiego di cellule staminali, un team dell'Università dell'Iowa ha fatto, e continua a fare, un esteso screening genetico del DNA di soggetti affetti da tali patologie ereditarie. Non di meno, questi ricercatori sono riusciti a generare delle cellule staminali pluripotenti (iPSCs) partendo da questi stessi individui sotto monitoraggio genetico, in modo da avere dei veri e propri modelli paziente-specifici della RP. 
In particolare, hanno creato un modello personalizzato della variante di RP recessiva come riportato QUI. Le iPSCs sono state generate per la prima volta nel 2007 a partire da fibroblasti prelevati dalla cute dei pazienti stessi. Queste cellule hanno una grande peculiarità: sono appunto pluripotenti, ovvero con i giusti stimoli possono differenziarsi e generare cellule di vari tessuti dell'organismo. Dato che possono essere ottenute riprogrammando le staminali prelevate da un individuo adulto specifico, possono essere una preziosa fonte di informazioni di quel soggetto in particolare, generando modelli cellulari della malattia ad personam. Il team dell'Iowa ha messo a punto e perfezionato la tecnica usando dei Cheratociti, ovvero cellule più superficiali del derma e molto più malleabili geneticamente dei fibroblasti.

Tra i vari tipi di cellule ottenibili da queste staminali ci sono, appunto, anche quelle retiniche. Questo è comprensibilmente un garndissimo strumento, nonchè una poderosa svolta in ambito di ricerca e studio di terapie. Si possono infatti studiare come funzionano i meccanismi molecolari e genetici alla base della malattia del singolo paziente, valutando con grande specificità anche la possibile risposta in vitro a terapie geniche per quel dato soggetto.

Su un paziente di 62 anni affetto da RO Autosomica Recessiva (ARRP) è stato condotto uno studio pilota proprio con queste prerogative. Innanzitutto sono state caratterizzate geneticamente le mutazioni responsabili della malattia (QUI i dettagli); successivamente sono state prelevate le cellule staminali dalla sua pelle. Opportunamente stimolate, queste cellule hanno preso a differenziarsi in differenti forme di cellule retiniche (QUI il paper di riferimento). 

Ma non è tutto qui. 

Con grande stupore degli scoenziati stessi, le cellule retiniche generate hanno preso ad organizzarsi autonomamente in strutture vescicolari definite "eyecup". 



Queste inizialmente contenevano solo strutture cellulari simili all'Epitelio Pigmentato, il tessuto che trasporta i nutrienti ai fotorecettori, ma col tempo hanno preso a svilupparsi cellule fotorecettrici proprie della retina. A prova di queste evidenze la presenza di Rodopsina a livello delle eyecup generatesi in vitro.

Questo ha innanzitutto evidenziato che la mutazione genetica alla base della malattia non ha alterato lo sviluppo normale del tessuto retinico (altrimenti le eyecup non si sarebbero formate e non avrebbero prodotto Rodopsina), ma che evidentemente la proteina alterata derivata dal gene mutato (USH2A) sia causa di uno stress letale per le cellule della retina del paziente, da cui lacecità conseguente.

A questo punto è stato naturale voler vedere in vivo cosa sarebbe potuto succedere. E infatti i ricercatori dell'Iowa University hanno proceduto nel trapianto dei fotorecettori immaturi, ottenuti con questo metodo, direttamente sulle retine di topi. I risultati, questa volta molto sperati ma inaspettati, sono arrivati in due settimane: le cellule trapiantate si sono perfettamente integrate nel tessuto retinico dei topi e in breve hanno preso a differenziarsi e a maturare in cellule retiniche funzionanti adulte.

Tutte queste scoperte aprono scenari nuovi sugli approcci terapeutici e, non da meno, rivedono anche il potenziale ruolo della Terapia Genica. Troppo spesso infatti il limite di questa tecnica è data dalle dimensioni de ìl gene da sostituire nelle cellule del paziente. Se il gene è troppo grande la difficoltà principale è trovare un virus sicuro ed efficiente per trasportare e inserire il gene corretto nelle cellule della retina. Cellule che, per altro, spesso sono già morte o seriamente danneggiate per cui anche se trattate con terapia genica i risultati potrebbero essere molto minimi.
Con la tecnica vista in questo studio, invece, sarebbe possibile:
1. Generare delle cellule staminali immature partendo da materiale biologico del paziente che si vuole curare;
2. Correggere a priori la mutazione (o le mutazioni) responsabili della malattia in questione;
3. Trapiantare materiale biologicamente compatibile al 100% nel paziente e determinare una neo-genesi della retina, usando cellule nuove e sane che andranno a rimpiazzare quelle danneggiate e morte.
Riassumendo, ecco lo schema:


Fantascienza?
No, ragazul...a sto giro è solo questione di tempo!



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